Un blog che resiste al tempo e alle ossessioni. Il Mondo, non si è fermato mai un momento. Sono grata al mio lavoro, sempre. Gli sono grata perché mi permette di girare il mondo. Non è esattamente quel che chiamo viaggiare per diletto, ma non è per questo meno interessante. Negli anni ho imparato le smorfie e gli sbuffi dei francesi, il lento dondolio delle teste indiane, gli inchini giapponesi, le orrib.

I pantaloni dei cartografi virano al rosso e sembrano pigiami. Il 10 ottobre 2012 uscirà per la coraggiosa e vivace casa editrice di Napoli. Io mi defilavo, vicino a.

fa più caldo e piove tutto il tempo.

La mia vita è una parola che ho impiegato tutta la vita a pronunciare. Ah, le notti lontane, che tornano come riflessi di un sole malato tra gli alberi rinsecchiti delle mie dita grigie.

Ripropongo un testo già presente nel mio blog ma rivisitato alla luce delle cinque parole proposte dal gioco letterario. Lo sapeva bene che a molti non capitava di sdegnarsi e nemmeno di incupirsi, è che lei non chiudeva mai il .

Istanbul e la testa di medusa. Fissava le minuscole onde, si annullava in quella sottile e disperante attesa ma niente venne, nessun fiato o segno, nessun sospiro od oracolo, solo le grida eccitate di due bambini che si stringevano alla gonna di una elegante bambinaia, palesemente inglese.

Incursioni disarmoniche nel mio altrove. 29 giugno 2015 di Ossidiana. A tutte quelle parole di carta. Ricordi in blu di china. O a quelle di latta. Tutto è così confuso, oggi. Negli intrecci di mani e voci. Che tornano a punteggiare i miei commiati. Come lanugine di pioppo a primavera. Nella scia polverosa delle memorie. Non so fare altro che guardarmi. Mentre abbandono i miei passi.

8220;Fine impero, taci! Poi, per fare pace, ci siamo scolati altro mezzo litro. La fantasia lo aiutava, in giorni così, ma ora non bas.

Sottotitolando i giorni e le notti. Poi erano iniziate le prove, gli esperimenti, i tentativi o chiamateli come vi pare; io li chiamerei incontri o scivolamenti o bolledisapone. Intanto per scongiurare il baratro di una fine avevo preso a sottrarre respiri, parole, gesti dai giorni sperando che le notti finissero in fretta, il tempo di una doccia per lavarsi via il buio e le impronte estranee dai fianchi. Ai piedi di quella panchi.